Post di Luca Lombroso n.20 | 14 gennaio 2016 Ero partito, a scrivere questo post, dall’approfondire l’emergenza smog di fine anno, anche alla luce della COP 21 di Parigi. I due argomenti, infatti, inquinamento urbano ed obiettivi a lungo termine di taglio delle emissioni, sono strettamente legati, e la soluzione deve essere sistemica, per evitare di affrontare un problema magari aggravando l’altro.
Ho deciso invece di sfruttare l’occasione e l’ospitalità del blog su Abitcoop per presentare qualcosa di concreto. Molti mi hanno chiesto infatti come va #ilmiofotovoltaico. Ecco dunque, concluso il 2015, alcune considerazioni sui risultati che hanno stupito anche me stesso.
Nel corso del 2015 infatti i miei elettroni, stimolati dall’ininterrotto flusso di fotoni dal sole, viaggiando alla velocità della luce fra una giunzione e l’altra delle cellule fotovoltaiche, hanno prodotto ben 3792 kWh, evitando così, fra quelli autoconsumati e la parte immessa in rete, le emissioni di quasi 2 tonnellate, 1.896 per la precisione, di anidride carbonica in atmosfera.
Purtroppo, ma sarebbe meglio dire per fortuna, il mio consumo è piuttosto basso, poco più di 2000 kWh. Il sistema di incentivazione attuale infatti, basato sullo scambio sul posto e la detrazione fiscale, da una maggiore convenienza ai nuovi impianti fotovoltaici a chi consuma molto, avvicinandosi comunque alla sua produzione. Vi dico però che poco me ne importa: personalmente, è già motivo di soddisfazione, più che se avessi un’auto sportiva, una moto, o un motoscafo, consultare il mio monitoraggio giornalmente e “fare a gara” in twitter, con alcuni miei amici e follower, fra cui @MrsSant e @ss0alexander, a chi produce più kWh.
Facendo qualche considerazione più generale, il fotovoltaico è senz’altro una realtà, è chiaro come le abitazioni, dotandosi di impianti di produzione di energia da fotovoltaico, possono dare un notevole contributo agli obiettivi di COP 21 Parigi. Certo, le cose non sono semplici, di notte e la produzione si azzera o comunque scende, in giornate nuvolose, notevolmente. Sicuramente in futuro i sistemi di accumulo domestici, di piccole dimensioni, possono aiutare a coprire l’irregolarità della produzione con le esigenze di consumo. Dobbiamo comunque anche ottimizzare e migliorare i nostri consumi elettrici (oltre che termici). Il mio consumo per esempio è piuttosto basso grazie alle classiche, banali ma spesso dimenticate, attenzioni e buone pratiche ambientali, quindi man mano che si bruciavano le lampadine, o esaurivano quelle fluorescenti che già da anni uso, ho messo ovunque le nuove lampadine a LED. Abbiamo una lavatrice di nuova generazione senza resistenza per scaldare l’acqua, che preleva anche acqua calda ma che lava bene anche a freddo. Prima ancora però sono andato a caccia di “vampiri energetici”, come vedete dalla foto, per esempio, senza la ciabatta multipresa fra TV, videoregistratore (ho ancora molte videocassette), satellitare e stereo assommano, da spenti, circa 30 W. Solo questi dispositivi dunque sarebbero responsabili, senza la ciabatta con interruttore che regolarmente uso, di ben 262 kWh annui di consumi, oltre il 10% del mio consumo attuale, con un costo di oltre 30 Euro! Certo, sottolineo, questa è la punta dell’iceberg dei consumi, ma è la prima, più semplice e banale che si può fare. Ci sarebbe anche molto da dire sul vizio di progettazione di questi apparati hi tech, spesso senza interruttore; in attesa che intervengano anche i costruttori, l’unica difesa è comunque la conoscenza, consapevolezza e appunto attenzione.
Riguardo lo smog, la presenza di pannelli fotovoltaici non da benefici diretti nella città o paese dove viviamo, ma certo riduce la necessità di produrre elettricità da centrali termoelettriche, emettitrici di CO2 e di particolato e altri inquinanti, spesso distanti fra noi. Possiamo e dobbiamo invece agire, e massicciamente, per ridurre i consumi termici degli edifici, sia quelli dove viviamo che quelli di nuova costruzione. Una cosa non esclude l’altra.
Rimando, per l’approfondimento, ad alcuni articoli su Qualenergia e su Aspo Italia, che spiegano in modo chiaro come a differenza di altri settori, complice anche l’aumento di uso di biomasse (legna, pellets, ecc), le emissioni inquinanti del settore residenziale siano aumentate notevolmente negli ultimi anni.
Anche riguardo le emissioni di CO2 le cose non vanno bene, se ben guardiamo infatti dal 1990 a oggi le emissioni sono sostanzialmente stabili, addirittura aumentate fra fine anni 1990 e inizio anni 2000. Il calo degli ultimi anni è stato in buona parte favorito da inverni spesso miti, ma occorre ben altro.
Del resto se è vero che la legna, neutra se ben gestista per le emissioni serrà ma non è certo “ecologica” come si pensa quanto a emissioni inquinanti, altrettanto non è certo “ecologico” il metano, che se da un lato ha benefici sulla qualità dell’aria, dall’altro vede vanificati molti dei suoi vantaggi globali sull’effetto serra dalle perdite.
Che fare dunque? Intervenire alla radice. Ribadisco, prima si chiudono i buchi, poi si riempie il secchio. Prima si riducono consumi, sprechi e inefficienze poi si interviene sulla produzione di energia e di calore.
Come ben dice uno degli articoli che vi ho citato,
«Investire fondi pubblici in “ristrutturazione energetica profonda” degli edifici esistenti, riducendone il fabbisogno di energia di una cifra compresa tra il 50 e l’80%, con interventi di isolamento avanzato delle parti opache, riduzione dei ponti termici, sostituzione finestre, riduzione delle infiltrazioni d’aria e recupero di calore su aria in uscita, applicazione di protezioni solari esterne e realizzazione di ventilazione naturale notturna, come avviene in Germania, con un piano per la ristrutturazione energetica profonda di tutti gli edifici del paese entro il 2050.
Certo, occorre poi agire ad ampio spettro su tutte le fonti sia di inquinamento che di gas serra, edifici come sto parlando ma anche traffico, produzione di energia, industria, gestione dei rifiuti e anche, poco noto ma non certo marginale come ruolo, agricoltura intensiva. Vorrei però chiudere dicendo che ogni settore non deve sentirsi “colpevole” bensì vittima e responsabile. Vittima perché ognuno, con la sua attività o con la sua vita, subisce le conseguenze dei cambiamenti climatici o gli effetti sanitari dell’inquinamento. Responsabile nel senso che ognuno di noi, e altrettanto ogni settore, ha la responsabilità di agire per il bene collettivo.
Avete mai sentito la storia delle Stelle Marine?