Il 16 febbraio è una data di riferimento per le iniziative sul risparmio e l’efficienza energetica. Ricorre infatti l’anniversario di quando, nel 2005, a seguito della ratifica della Russia e trascorsi i tempi tecnico-burocratici necessari, entrò in vigore il Protocollo di Kyoto, primo e finora unico accordo internazionale che prevedeva impegni, anche se a carico dei soli paesi più industrializzati, di riduzione dei gas serra. Proprio per festeggiare, e ora ricordare, questa data in contemporanea si svolge l’iniziativa “M’Illumino di Meno” promossa dalla nota trasmissione radiofonica di RAI DUE Caterpillar. Tante le iniziative in Italia e a Modena, occasione per mostrare come i piccoli gesti possono dare importanti risultati. Va però detto che il metodo, pur importante, di affrontare la sfida dei cambiamenti climatici e del problema energetico basato sui piccoli gesti ha ormai fatto il suo tempo.Il Protocollo di Kyoto prevedeva infatti riduzioni dei gas serra del 5,5% a solo carico dei paesi più industrializzati, come si sapeva, primo ma insufficiente passo verso la decarbonizzazione della nostra società. Senz’altro con le piccole azioni si può fare questo 5% o più, fino al 10 o anche 15% per i più “consumoni”.Ora però il nuovo accordo di Parigi ci pone davanti ad obiettivi che vanno ben oltre. Val la pena dunque di approfondire, a due mesi dalla conclusione della storica COP 21, alcuni di questi aspetti anche in considerazione, appunto, della giornata “M’illumino di meno” che si celebra quest’anno il 19 febbraio. Kyoto, si diceva, divenne operativo nel 2005, dopo essere stato approvato nel 1997. Ben 8 anni, insomma. E Parigi? L’accordo di Parigi richiede che sia ratificato da almeno 55 paesi, detentori di almeno il 55% delle emissioni, e entrerà in vigore dopo un mese. I tempi, si spera ed è necessario, dovrebbero dunque essere più veloci, soprattutto in considerazione della speranza che, malgrado le notizie degli ultimi giorni, il Presidente degli USA Barack Obama lo possa firmare senza passare dal Congresso grazie a un’abilità diplomatico-negoziale nell’articolato. Anche in Italia, da alcune informazioni, la ratifica da parte del Parlamento dovrebbe essere abbastanza rapida, entro l’anno.
Nel frattempo, il 22 aprile, data dell’Earth Day, l’Accordo sarà ufficialmente aperto alla firma alle Nazioni Unite. Un altro dubbio, dalle discussioni e dai commenti che ho letto negli ultimi giorni, è sulla obbligatorietà delle azioni e degli impegni di Parigi. Effettivamente, mentre i processi e le scadenze, importanti, di controlli e revisione e di presentazione di nuovi impegni sono obbligatori, le riduzioni di emissioni sono, attraverso il meccanismo degli INDC, volontarie. Una cosa però è importante sottolineare. L’impegno dell’Italia è dentro al nuovo pacchetto Clima Energia dell’Unione Europea, e in questi termini è dunque obbligatorio nei confronti, appunto, dell’UE. E l’impegno è forte, riduzione del 40% delle emissioni serra entro il 2030. E più a lungo termine? Parigi non cita esplicitamente la “decarbonizzazione”, ma da un certo punto di vista va oltre, quando parla di
«raggiungere nella seconda metà di questo secolo un equilibrio tra le emissioni di origine antropica dalle varie fonti e gli assorbimenti dei pozzi di gas ad effetto serra, con un approccio basato sull’equità, e nel contesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi per sradicare la povertà.»
Possiamo chiamarla “neutralità nelle emissioni dei gas serra”. Ma quanto dovremo tagliare le emissioni per raggiungere questo obiettivo? Qui le cose si fanno difficili. Più tardiamo a raggiungere il “picco delle emissioni globali”, che l’accordo chiede di raggiungere al più presto. Se si raggiungerà, difficile, nel 2020, da allora dovremo diminuire le emissioni serra del 3,5% circa, ma all’anno! E se tardiamo al 2030, oltre ad aumentare costi e impatti e a ridurre al lumicino le già basse possibilità di stare entro l’obiettivo di 2°C citato nell’accordo, le emissioni dovrebbero scendere del 5% all’anno! Sostanzialmente, un protocollo di Kyoto ogni anno, dunque occorreranno interventi drastici e urgenti, non più appunto i pur importanti decaloghi e attenzioni, dall’eliminare gli stand by al regolare meglio il termostato, ma stando al nostro settore, il residenziale, come abbiamo già detto, dovrà ridurre drasticamente i fabbisogni energetici per riscaldamento e raffrescamento, e quel che resta ottenerlo da fonti rinnovabili; cambiare il modo in cui ci si muove, i consumi di prodotti e la produzione di rifiuti, nonché anche cambiare stili di vita alimentare.
Insomma, se guardiamo il video qui sotto, un’intervista allo scienziato Kevin Anderson, emerge chiaro che le possibilità di centrare l’obiettivo 2°C sono basse, circa il 5%, ma che bisogna provarci e che ogni ritardo determinerà danni e costi incalcolabili alla nostra società.
È giunto dunque il momento di fare sul serio la transizione a fonti rinnovabili ed efficienza energetica.
La COP 21 e l’accordo di Parigi: seminario scientifico in università
Kevin Anderson, scienziato e climatologo: serve più coraggio