Post di Luca Lombroso n.19 | 15 dicembre 2015
Si è conclusa a Parigi con un grande accordo la 21° conferenza delle Parti, il “vertice ONU sul clima”. Nella serata di sabato 12 dicembre infatti, un giorno dopo la scadenza prefissata, la “Plenaria” presieduta dal Ministro degli Esteri Francese Laurant Fabius, alla presenza del Presidente Francois Hollande,
del segretario delle Nazioni Unite Ban Ki Moon e delll’UNFCCC Christiana Figueres, presente in prima fila il premio Nobel per la Pace (per il suo film “una scomoda verità” sui cambiamenti climatici) Al Gore e i rappresentati dei 195 stati, più UE, partecipanti alla convenzione ONU sul clima ha approvato l’“Accordo di Parigi”, un documento di una quarantina di pagine che pone le basi per una vera svolta verso un mondo “a basso tenore di carbonio”.
L’accordo è “storico” dal punto di vista negoziale e diplomatico, perché tutti i paesi hanno aderito e preso impegni, ma non è perfetto e soprattutto è ancora insufficiente negli impegni di riduzione, peraltro volontari, delle emissioni.
L’accordo di Parigi riconosce anzitutto una serie di importanti principi di riconoscimento di vari diritti, fra cui i diritti umani, l’equità di genere, dei bambini, dei popoli indigeni, dei migranti ed equità intergenerazionale. Sembra una cosa che dovrebbe essere scontata, eppure includerle in un trattato internazionale, oltre che un segnale, ha ovviamente una serie di ripercussioni e lancia un chiaro segnale di monito che il clima non minaccia solo gli orsi polari, ma soprattutto l’uomo, l’economia, la società e il futuro della nostra società.
L’obiettivo dell’accordo di Parigi è fare si che l’ulteriore riscaldamento del pianeta resti “ben al di sotto dei 2°C rispetto all’era preindustriale, facendo ogni sforzo per limitarlo a 1.5°C.
Nell’accordo poi ci sono importanti azioni e articoli sull’adattamento, sul trasferimento tecnologico, sugli impegni finanziari e aiuti ai paesi in via di sviluppo per investire su energie pulite e per la “perdita e danni”, sulle revisioni periodiche degli obiettivi degli impegni.
Impegni però che sono ancora largamente insufficienti, e viene anche quantificato l’ammontare del “GAP”, ovvero delle emissioni che mancano rispetto alla “traiettoria” che ci porterebbe alle emissioni nette zero nel 2070. Questo GAP è di ben 15 miliardi di tonnellate di CO2, veramente molte, e se è vero che ora praticamente tutti gli Stati, 188 su 196 (compreso USA, Cina, India, Brasile) hanno presentato i loro impegni colmare questo GAP non sarà facile, così centrare l’obiettivo 2°C, e ancor più quello 1.5°C.
Per colmare il GAP, occorrerà dunque che gli Stati prendano altri e ancor più ambiziosi impegni, e che una parte della riduzione sia operata dai, anche qua come avevo detto, attori subnazionali. Le Regioni (l’Emilia Romagna per esempio ha aderito ad UNDER2MOU, su cui si sono svolti vari side events), le città (Modena aderisce al “Patto dei Sindaci”), ma anche le imprese, le comunità locali e i singoli cittadini.
Stando al settore del sito su cui scrivo, le case e più in genere gli edifici residenziali (ma anche vale anche per quelli commerciali, pubblici, di servizi e altro) il segnale è chiaro. Il futuro è in edifici ad emissioni zero, o addirittura che producano meno energia di quanta ne consumano. E questo è ormai una realtà, in COP 21 c’erano vari esempi di questo, compreso un didattico modellino interattivo dove si potevano testare i consumi, le soluzioni energetiche e come gestire l’energia in una abitazione, dallo scaldarsi a illuminare, dagli elettrodomestici al cucinare. Si è svolto un intero “Building day”, giorno degli edifici, oltre che varie conferenze, anche pubbliche fuori COP 21 e side events. Vi è poi tutto il tema, fondamentale, dell’edilizia esistente, perché è da qui che vengono i consumi energetici attuali, ben il 40% dell’uso finale di energia dipende dagli edifici, e le emissioni, circa il 30% di quelle serra fra tutti i consumi residenziali. Basti pensare, al proposito, che in Italia il settore residenziale è l’unico, in controtendenza con gli altri settori, che vede un incremento delle emissioni serra rispetto al 1990. Italia ben presente a Parigi e col Ministro dell’Ambiente Galletti che ha sottolineato che al 2014 le emissioni, appunto, sono calate addirittura del 20% rispetto al 1990.
Dunque, ora non ci sono più dubbi: il futuro non è nei combustibili fossili ma in efficienza energetica e fonti rinnovabili.